“Delle volte, Claudio, quand’ero bambino, dovevamo aspettare a lungo, in ospedale, che arrivasse il sangue per le nostre trasfusioni. Avevamo l’ago già in vena, perché altrimenti all’arrivo delle sacche sarebbe stato impossibile far partire tutte insieme dieci o venti trasfusioni; eravamo bambini di due, tre, quattro, cinque anni, e non potevamo mangiare perché allora si pensava potesse provocare reazioni. Eravamo bambini, e aspettavamo il sangue. E c’era, in questo, la perfetta rappresentazione delle nostre vite: noi che aspettiamo il sangue degli altri, noi che siamo vivi e in forze solo se gli altri danno il loro sangue per noi, senza conoscerci, senza sapere che faccia abbiamo, se siamo o diventeremo simpatici o insopportabili, onesti o farabutti, se daremo fuoco ai cuccioli di cane o faremo i volontari alla croce rossa, se siamo gentili con i nostri genitori o li ripaghiamo di quel che hanno fatto con indifferenza e parole brusche. Claudio, io sono stato vivo e in forze, a lungo, perché dei sardi chissà di dove, chissà che razza di gente, andava a dare il sangue per me. E poi perché decine di militari tedeschi della base di Decimomannu andavano a dare il sangue per noi. Qualcuno sarà stato filonazista, qualcun altro avrà picchiato la moglie, qualcuno pensava che gli italiani rubano, che gli africani sono pigri, che la colpa dei problemi del mondo sono i gay. Poi sono stato vivo, a lungo, perché qualcuno a Londra andava a dare il sangue per me e per gli altri politrasfusi del Wittington Hospital. Qualcuno sarà stato un figlio di immigrati indiani convinto che i cristiani sono tutti fanatici e imperialisti, qualcuno, non si può escludere, sarà stato un immigrato turco violento o un immigrato svedese razzista. E adesso, Claudio, assai spesso sono vivo e in forze grazie a dei sassaresi che vanno a dare il sangue quando possono, e a dei romani che vanno all’Umberto I° quando possono, a togliersi del sangue per noi. E dunque gli utesi sono la mia gente, ma anche i sassaresi sono la mia gente, e lo sono i romani, e lo sono i tedeschi, e lo sono gli inglesi, gli indiani, i turchi e gli svedesi. E se scopro che settecento persone sono morte, Claudio, io non posso che pensare che quelli erano la mia gente. E che se non ci fosse stato sangue abbastanza per me, quand’ero piccolo, mio padre mi avrebbe messo su un barcone e mi avrebbe portato altrove, a qualunque costo. Anche a costo di rischiare la sua vita insieme alla mia. Che Dio abbia pietà degli idioti, amico mio.” – Flavio Soriga, L’Unità, 21 aprile 2015
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Grazie per questo omaggio a colui che considero un grande scrittore.
Bellissime parole